Solo un poeta

D'ELIA GIANNI

Solo un poeta

GIANNI D'ELIA -

T IRAR VIA i libri dagli scaffali, rileggere i versi di Dario Bellezza: "Ma mi accora la tua foto/ dove inerme guardi velato/ di tristezza l'arido mondo.// Dove la certezza dell'amore/ è solo la quiete inquieta/ della fine". Versi del suo libro d'esordio (1971), Invettive e licenze, ristampato nel '91 da Garzanti.

I poeti se ne vanno, lasciando il silenzio forte della poesia, tra malattie epocali offerte alla spudoratezza dei media, o suicidandosi in un cortile come Amelia Rosselli, vissuti poveri e morti poveri. Ed è la verità, senza retorica, se non della vita che si specchia nelle lettere della diversità. Lettere da Sodoma (1972), amori e avventure in un romanzo epistolare e omosessuale di grande impatto espressivo. Sintassi secca, rivisitazione del modello foscoliano in chiave incivile, dissidente, da contestazione passiva e assoluta. Poesia come Morte segreta (1976).

Sempre un rapporto tra vittima e carnefice, inseguito e inseguitore, corpo e spirito: un monologo rivolto all'altro, ininterrotto. A sforare i generi: dal verso alla frase di romanzo, dalle poesie alle prose impoetiche. La dura pronuncia di Bellezza, quel suo modo di fare lirica con l'antilirica della brama d'amore, rimarrà come la sua cifra più efficace, con una capacità di attraversamento e di indifferenza dei generi, fino al monologo teatrale di Testamento di sangue (1994) e al poema romanzesco gidiano di Nozze con il diavolo (1995). Il classicismo del verso di Bellezza, battuto su un endecasillabo funzionale al racconto elegiaco e alla sprezzatura amorosa, è un segno di tradizione ottocentesca (leopardiana), nel contrasto con la ferialità tematica del quotidiano. Desiderio e paura del desiderio, come per grumi tasseschi (e tutta la poesia di Bellezza, libro per libro, appare come un unico poema di guerra d'amore, dove le armi restano ma cambiano gli attanti: ragazzi di vita invece di donne, reietti invece di cavalieri), con un orecchio musicale ai toni aspri, narrati come per dispetto e provocazione, più che cantati in rima, affidando all'accento del verso il ruolo poetico più che alla soddisfazione sonora della sequenza. Al verso singolo, più che alla strofa: "questo nulla che possa consolarmi". Forse, era un suo modo di rendere omaggio alla tradizione latina (lui, romano) dell'epigramma, alla concentrazione oraziana della satura narrativa. Amore, morte, malanno, denuncia, nostalgia dell'innocenza "di sapersi normali", ricordando "come era bella". Dalla trasgressione al senso di colpa.

"Una voglia di vivere oltre le età/ che ci furono date in sorte", come in un testo del libro io (1983), dove il colloquio con l'arte e l'artista, la poesia e il poeta, è già da sempre In memoriam . Postumo, cioè, a se stesso, Bellezza ha forse incarnato l'ultima idea romantica della poesia in Italia, dando voce a chi, in quegli anni di declino della contestazione politica, non voleva e non poteva averla in proprio. Il suo scandalo, dopo Pasolini e Penna, è stato quello di credere che si possa vivere facendo il poeta, senza altri incarichi che quelli di un precario lavoro letterario, di traduttore o critico occasionale. Ci ha parlato così di una sua macerazione, di una disfatta dell'io per una rinascita crudele, credendo di dover pagare anche per la propria voce sempre in primo piano, quando invece la sua fraterna lezione è stata proprio quella di una implosione dell'io, autopunizione ed esposizione scandalosa del soggetto lirico, fino alla resa dei conti tra vita e poesia. La "poesia ormai sconfitta" trova solo nell'impoetico della vita il suo riscatto: ed ecco il paradosso: il classicismo del verso e la sua sconfessione tematica, il poeta d'amore e il diario della disperazione esistenziale, sulle orme del nichilismo inattuale della nostra tradizione materialistica, che da Leopardi giunge a Pasolini, per fraternità di dissenso e di stile.

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