OPINIONI
L A CRISI politica è caratterizzata dal tema della revisione della Costituzione, sia per quel che riguarda la forma di stato, sia per quel che riguarda la forma di governo. L'eventualità della trasformazione federalista dello stato, da un lato, e il trasferimento al corpo elettorale del potere di formare direttamente maggioranze di governo e personalità chiamata a guidarla, dall'altro, sono le due grandi questioni costituzionali aperte al dibattito e alla decisione.
Sono sorpreso nel constatare il silenzio degli studenti su entrambi questi temi, sebbene sia di tutta evidenza che le decisioni che saranno adottate coinvolgeranno direttamente e immediatamente la scuola tutta. Altro è infatti un sistema scolastico incardinato in uno stato centralistico, qual è quello realizzato in Italia dall'Unità a oggi, altro un sistema scolastico incardinato in uno stato federale, nel quale formazione, selezione e carriere dei docenti fossero decise appunto in sede locale, non meno che le modalità organizzative delle scuole, i rapporti tra scuola e lavoro, gli stessi programmi, senza parlare dell'insieme delle facoltà racchiuse nel diritto allo studio, che potrebbero variare sensibilmente da parte a parte del territorio nazionale, ben più di quanto non avvenga già oggi. Altro, inoltre, è un sistema di governo nel quale i partiti politici si presentano con i propri candidati e i propri simboli per concorrere alla formazione di maggioranze parlamentari, altro un sistema di governo nel quale il corpo elettorale decidesse direttamente della sintesi politica necessaria per il governo del paese.
Dov'è il protagonismo degli studenti?
E BBENE, in una congiuntura politica così profondamente caratterizzata da possibili discontinuità radicali dell'ordine costituzionale, mi sarei aspettato un protagonismo degli studenti all'altezza dei tre autunni di rivolta che essi hanno saputo sbattere in faccia a tre governi sostenuti da maggioranze diverse, a tre ministri egualmente considerati controparte. Ho riflettuto a lungo sul senso profondo di questa ripetuta ribellione e ho ritenuto che, depurata sia dalle pur presenti strumentalizzazioni politiche, sia da una qualche ripetitività, essa abbia posto in campo una capacità innovativa, quasi rivoluzionaria, rispetto alla marginalità nella quale la scuola è stata tenuta fino a oggi. E' come se oggi gli studenti vivessero anche in Italia il senso del cambiamento epocale della collocazione del sapere nella gerarchia dei valori. E' come se gli studenti si ponessero come strato sociale che intende cambiare il paradigma prevalente di ripartizione delle risorse tra i diversi ambiti di soddisfacimento dei bisogni sociali.
E' questa la ragione che mi aveva indotto ad affermare la centralità dello studente nella complessiva riforma della scuola, con un tentativo che avrebbe avuto bisogno di più tempo e certamente di una battaglia più forte di quella alla quale mi ero attrezzato. Ed è per questo che mi preoccupa il silenzio degli studenti in questa crisi: non intendo certamente sollecitarli a nuove occupazioni o anche alle meno dirompenti autogestioni. Mi aspetterei che gli studenti, soprattutto quelli di loro eletti nei consigli di classe, di istituto e di ateneo, si interrogassero e ci interrogassero sul ruolo della scuola in questa crisi, se si vuole evitare di protestare il prossimo autunno contro una finanziaria, un ministro e un governo che saranno invece decisi in queste settimane.
Per chi crede che l'Italia cambia soltanto se la scuola cambia; per chi crede che la conoscenza e l'innovazione tecnico-scientifica sono le novità radicali dell'economia capitalistica; per chi afferma che è la conoscenza a dividere nella società tra chi può accedere al sapere e al lavoro da chi è destinato a essere escluso dall'uno e dall'altro; questo è il momento di fare sentire la propria voce, di fare capire a tutti che il futuro è, anche se in parte, nelle proprie mani.