Polemiche d'alta quota

NOVELLO NICOLETTA

Polemiche d'alta quota

NICOLETTA NOVELLO

U NDICIMILA PERMESSI rilasciati nel '93 per raggiungere il campo base, un moderno rifugio in via di costruzione a 5.200 metri che Messner ha già contestato: oggi più dell'eco del primo leggendario salitore, Sir Edmund Hillary, sulla mitica cima dell'Everest, a 8.848 metri si respira aria di polemica intorno a problemi che vanno dall'inquinamento e la distruzione ambientale all'integrazione con la popolazione locale.

Mentre Herzog, primo salitore di un 8.000, ha promosso un programma per la costruzione di un rifugio sotto tutte le 14 montagne più alte del pianeta, il turismo di massa ha fatto il suo ingresso anche in alta quota, rendendo le piste di avvicinamento alte vie attrezzate e confortevoli, mentre le spedizioni alpinistiche si riducono per costi troppo alti e mancanza di sponsor.

Se "Mountain Wilderness" non si è mai schierata apertamente a favore o contro la piramide-laboratorio del progetto Everest-K2-Cnr, una struttura del genere ha fatto discutere le diverse anime dell'alpinismo. Sorge nei pressi del campo base nepalese, nel parco naturale dell'Everest, a quota 5.050 metri. Una struttura in vetro e alluminio di 13,22 metri di lato e 8,40 d'altezza, la cui costruzione - 1.200 gli sherpa impiegati, l'etnia della valle dell'Everest, portatori senza rivali - venne bloccata in territorio cinese per i fatti di piazza Tien An Men e trasferita sul versante nepalese.

Padre spirituale dell'operazione, partita per gestire le misurazioni delle vette dell'Everest e del K2, è Ardito Desio, 97 anni, quasi un guru dell'alpinismo, capo-spedizione della cordata che nel '54 portò in vetta al K2 Compagnoni e Lacedelli, promotore del trasferimento in alta quota delle scienze applicate. Ideatore ed anima imprenditoriale dell'operazione, sorta sulle ceneri del fallito progetto di "Quota 8.000", è invece l'alpinista Agostino Da Polenza, in cima al K2 nell'83.

Una struttura autosufficiente

"Dal punto di vista ambientale la piramide è innocua perché è autosufficiente: è stata creata in vista di una sua fine ed utilizza energia pulita: l'impianto idroelettrico sfrutta l'energia del lago e quella eolica ed è provvista di pannelli solari", ci spiega Maurizio Gallo, ingegnere padovano, ex ricercatore universitario, oggi guida alpina della società "Mountain Equipe", tra i fondatori a Padova di un gruppo di guide alpine "Les Pistards Volants". La Piramide l'ha vista nascere, è stato lui a deciderne l'esatto sito di costruzione dopo accurate perlustrazioni ed è reduce anche dall'ultima spedizione autunnale.

Oltre che come laboratorio scientifico Gallo ne mette in evidenza anche il ruolo importante che sta svolgendo come punto di riferimento per i soccorsi e quindi per la sicurezza di tutte le spedizioni. "Una volta - spiega - ci voleva una settimana per far arrivare aiuti, adesso la piramide, dotata di un telefono via satellite e di una radio, fa da ponteradio tra gli alpinisti in alta quota e Katmandu, rendendo così possibili e rapidi i soccorsi". "La piramide - aggiunge Gallo - ha fatto cento interventi di soccorso sostituendosi di fatto a competenze che dovrebbero essere del ministero nepalese, assente sotto questo punto di vista". Su come la pensa Messner, che dove c'è telefono non c'è avventura, Gallo dissente: "Il telefono, in realtà, è un salvavita; perché non bisogna tener conto anche del valore della vita degli alpinisti?".

Anche sul versante dell'integrazione con le popolazioni locali la guida alpina vede ricadute positive nell'operazione. "Oggi gli sherpa nella valle dell'Everest vivono meglio, c'è lavoro e più ricchezza. Anche come attrezzatura devono essere vestiti come noi, siamo obbligati a fornirgli lo stesso equipaggiamento o dargli 1.500 dollari per procurarselo. La loro cultura buddista è comunque rimasta intatta e ci tengono molto alle loro tradizioni", ci racconta al ritorno dall'ultima spedizione, un progetto ambizioso che, a settembre, prevedeva la sistemazione di un mini-laboratorio al Colle sud, a quota 8.000, tra le vette dell'Everest e quello del Lhotse. Lì avrebbero dovuto restare per dieci giorni senza ausilio di ossigeno sei alpinisti e due medici (coinvolte le università di Milano e Padova) per scoprire i meccanismi che permettono ai muscoli (e al cervello) degli alpinisti di recuperare i rilevanti danni riscontrati al ritorno delle vette himalayane dove l'ossigeno scarseggia. Meccanismo che, secondo i ricercatori, potrebbe essere la via per arrivare a fermare anche i danni dell'invecchiamento. Ma le cattive condizioni del tempo (un vento a 150 chilometri orari ha distrutto le tende al campo 3 a 7.200 metri) hanno costretto l'equipe guidata da Agostino Da Polenza (dieci sherpa hanno portato 1.200 chili di attrezzatura scientifica difficilmente tarabili a quella quota) a fermarsi al campo 2, quota 6.500, con un termometro a meno 35 gradi, e per soli cinque giorni.

Un concorso a premi

Spedizione che comunque aveva trovato uno sponsor, polemicamente finito in prima pagina del Corriere della Sera , che con lo slogan "Star in quota-l'Everest ti aspetta in vetta con Star", aveva lanciato anche un concorso con cui, mangiando creme agli asparagi o risotto ai porcini, ovviamente Star, si poteva vincere un soggiorno di 19 giorni in piramide.

"Adesso in piramide si mangiano solo prodotti Star", commenta Gallo. "Ma non capisco perché tanto scandalo per uno sponsor: nel '54 Desio aveva alle spalle la Liebig e Pavesi".

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