Impatto sull'Africa

DE SIMONE GIROLAMO

Impatto sull'Africa

In Congo ninna-nanna di Brahms e spirituals, in Camerun imprevedibili Kyrie e Agnus Dei. E le contaminazioni tipo "Missa Luba" dimostrano la validità della mescolanza

- GIROLAMO DE SIMONE

T ANTA MUSICA d'Africa è religiosa. Perché scartare, infatti, le pseudopercussioni dello Zimbabwe che evocano la discesa di spiriti ancestrali e la possessione di un medium (Zimbabwe, the soul of Mbira, Nonesuch), o le improvvisazioni maqam (tab)? In Marocco celebrano l'unione mistico-religiosa tra il Profeta e l'abile cantore musammi, che deve essere un po' poeta e un po' arrangiatore, sempre capace di integrare i tradizionali tubu marocchini con le prassi arabo-orientali. La forza modale dei maqam la ritroviamo allo stesso modo sia nel repertorio classico tradizionale (Maroc, Musique sacrée ed profane, Ocora Radio France) che nei lavori extracolti dei compositori "europeizzati" come Ahmed Essyad. In Collier des Ruses (K617), Essyad non esita a mescolare il sacro e il profano in una suite da camera ispirata al poeta arabo del decimo secolo El Hamadhani.

L'impatto europeo non ha mancato di alterare e contaminare certe pratiche più inclini alle permutazioni melodiche, all'incessante capacità di micromodulare su intervalli che noi a stento percepiamo. Già Henry Weman lamentava l'incredibile velocità con la quale nell'Africa del Sud i missionari avevano imposto il nostro schema di polifonia quadripartita, e il rispetto per un "canto" fisso e non esposto così facilmente alla variazione improvvisata (perché altrimenti saltano tutti i contrappunti...). In Marocco, l'influsso cristiano è disceso dalla Spagna fino al Maghreb, andando a costituire le nubat, lunghe suite modali con ripetizioni strofiche variate. In Congo, invece, fu possibile fondere la ninna-nanna di Brahms a spirituals come My lord What a Morning. E la bellissima produzione di messe contaminate (la Missa Luba di Miriam Makeba è arcinota) dimostra l'estrema validità estetica della mescolanza. Un Kyrie bakoko e un Agnus Dei douala non sono prevedibili come quelli occidentali, ed evocano il multiforme e colorato mondo del Camerun (Messes au Cameroun, Playa Sound). E, dal Senegal, messe per canto, kora, tam tam, balafon, sembrano quasi avere la leggerezza di una world che ha tutt'altra matrice, magari celtico-irlandese.

Ascoltare, per credere, Messe ed chants au monastere de Keur Moussa (Arion), dove in Cloches du monasére due kora tessono un dialogo circolare fortemente ipnotico. E J'ai vu l'eau vive non avrebbe, nella ritmica della scanzione vocale, nulla da invidiare alle sequenze dei monaci benedettini di Santo Domingo (recente best-seller Emi) se non fosse per l'inquietante presenza dell'assiko, un tamburo cavernoso capace di prendere alla bocca dello stomaco.

Lo spirito religioso attraversa, come un filo rosso, numerosi altri dischi non esplicitamente "a programma". Un canto religioso lontanissimo nel tempo (550-570) pervade la musica liturgica etiope (non esente da reminiscenze ebraiche), che sempre nella figura unitaria dei debteras individua sia il poeta che il cantore di chiesa. I suoi modi principali (ezel, araraye e ge'ez) sono ben rappresentati in Ethiopie, Musique traditionnelles (Playa Sound). La danza degli zombie (Tou Djandja), e canti simbolici di fecondità o di accompagnamento funebre, sono in Les Génies Noirs de Douala (Arion). Ma il vero "ritmo del mondo", e pertanto la resa sonora di una forma spirituale tra le più intense e introspettive, benché non esplicitamente definita tale, lo si ascolta nel battere di uno straordinario solista, Mustapha Tettey Addy, in Les Percussions du Ghana (Arion).

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