Arto Lindsay Quintet, l'estremismo sensuale di una trash-bossa

LORRAI MARCELLO

Arto Lindsay Quintet, l'estremismo sensuale di una trash-bossa

MARCELLO LORRAI

D I ASPETTO non è cambiato di una virgola: sempre allampanato e occhialuto, con l'aria del potenziale primo della classe o dello stralunato seminarista, che però dietro le lenti spesse potrebbe celare un'insana inclinazione per i fotoromanzi porno messicani (confessava di prediligerli, per via delle donne particolarmente laide, in un'antica intervista a Frigidaire ). Quanto alla musica, il suo graffiante rumorismo non si è perso per strada come una passeggera intemperanza giovanile né si è rinsecchito nel cliché o trasformato in quel gioco iconoclasta di cui è maestro il suo amico John Zorn. Arto Lindsay porta bene i quasi vent'anni passati dai tempi di Dna e Lounge Lizards. La spinta propulsiva degli anni ruggenti non si è affatto esaurita, ma col tempo ha messo in moto nuove passioni: complice la frequentazione di Kip Hanrahan e poi la suggestione del samba, il corrosivo estremismo di Lindsay ha finito per incontrare la sensualità e per innamorarsene.

Adesso insieme fanno una bella coppia, e che il menage funzioni senza che nessuno dei due ne esca sacrificato, per capirlo bastano pochi minuti del quintetto che Lindsay sta portando in giro per l'Europa (e che a Milano ha fatto tappa al Capolinea): una singolare unione di irruenza e tenerezza, di audacia e saggezza, qualcosa come un intenso trash-bossa, che appaga anche per la convinzione e l'impegno che Arto mostra nel proporlo. Eminente grattugiatore di chitarra (come al solito a dodici corde), con una tecnica (ammesso che la si voglia chiamare così) che non potrebbe essere meno ortodossa, eppure mai gratuito nel suonarla, Lindsay ha affinato il suo canto, languido e pacato, sospeso fra gli anni 60 di Stan Getz e Astrud Gilberto e i migliori dischi di Kip Hanrahan, ma senza la venatura di inquietudine di Jack Bruce. Accanto a Lindsay uno dei suoi chitarristi preferiti, Marc Ribot, alla batteria Dougie Bowne, al basso Damon Banks, e, terza chitarra e percussioni, il brasiliano Vinicius Cantuaria.

Significativi i due bis, che hanno completato un'ora e mezzo di esibizione: Egomaniac's Kiss dei Dna, e Bicho do Mato di Jorge Benjor, una canzone interpretata anche da Elis Regina. Dopo le collaborazioni con Caetano Veloso e Marisa Monte, per l'inizio del nuovo anno Lindsay ha in serbo un proprio album di samba. Fra il pubblico che assisteva al concerto un altro reduce della più classica formazione dei Lounge Lizards, Steve Piccolo, che sempre al Capolinea martedì prossimo sarà di scena in quartetto con il chitarrista e multistrumentista Elliott Sharp, l'arpista Zeene Parkins e il percussionista guineano Mamadi Kaba.

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