Gli xenofobi sono tra noi

RIVERA ANNA MARIA

OPINIONI

Gli xenofobi sono tra noi

ANNAMARIA RIVERA *

C HI, FRA I SINCERI antirazzisti, ancora si illudeva che l'italica arretratezza rispetto al resto d'Europa avesse finora, e per fortuna, impedito l'emergere di "imprenditori politici del razzismo", deve ricredersi. La vicenda del "testo Nespoli", recentemente licenziato dalla Commissione affari costituzionali della camera, fa prevedere che l'insieme della destra, ma in particolare Alleanza nazionale, farà del "No all'immigrazione" uno dei temi principali della sua campagna elettorale. La prova generale è stata la martellante campagna di stampa che ha preceduto e seguito il voto in commissione, una campagna alla quale hanno contribuito organi di informazione di ogni tendenza, con qualche rara e lodevole eccezione. Una campagna volta a enfatizzare il tema della sicurezza e dell'ordine pubblico, che sarebbero minacciati dalla presenza, fra gli immigrati, di un esercito di delinquenti, spacciatori, prostitute. Ciò che è preoccupante è il fatto che questa rozza mentalità xenofoba sia trasversale, che coinvolga intellettuali "mediatici" un tempo di sicuro orientamento democratico e oggi ridottisi a fare da portavoce al senso comune più incanaglito e aggressivo.

I nostri giovani non trovano lavoro "in quanto portato via dagli stranieri"; i centri di accoglienza diventano "basi e canali di parassitismo e di malavita"; i ragazzi romani, pensi un po' signora mia, sono più affiatati con gli ambulanti della Nigeria che con i loro coetanei di Berlino. E lo dice uno - Arbasino, lo scapigliato d'antan - che sogna un'Italia europea per davvero, ma in Europa ci vorrebbe stare in compagnia di pensatori alla Gasparri, piuttosto che degli intellettuali alla Dahrendorf. E non è il solo; insomma, la creme dell'intellighenzia al servizio dei media. I quali, come da manuale, non fanno altro che organizzare "razionalmente", confermare e legittimare stereotipi e pregiudizi, sentimenti di ostilità e atti di rifiuto, discorsi politici intolleranti e pratiche istituzionali xenofobe, insomma quell'insieme che ancora si ha pudore a nominare come razzismo. E lo fanno fantasticando sulle cifre, gridando all'invasione, parlando ancora e solo di lavavetri e vu' cumprà, e senza alcuna informazione e competenza (quanti di loro hanno letto il "testo Nespoli" e quanti conoscono i dati sull'immigrazione?): il che fa risaltare ancora di più la leggerezza con la quale giocano col fuoco della xenofobia. Una leggerezza che sembra coinvolgere anche buona parte della sinistra: perfino qualche quotidiano sicuramente di sinistra non ha saputo resistere alla tentazione di pubblicare le sue inchiestine sui cinesi schiavisti, sulle prostitute albanesi, sui marocchini legati alla camorra... E in un momento in cui tale era il coro del "dagli all'immigrato delinquente" che ci sarebbe stato bisogno di vere inchieste sugli immigrati, "regolari", onestissimi e perfino "integrati", che lavorano nelle concerie del nord, negli ospedali del centro e nelle campagne del sud.

La leggerezza della sinistra

U NA CERTA insipienza sembra accompagnare l'atteggiamento della sinistra rispetto a quel punto di svolta che è il "testo Nespoli": un testo forcaiolo, che viola principi costituzionali e convenzioni internazionali, che prevede, per i ricongiugimenti familiari, discriminazioni, pensate un po', basate sul criterio del censo. Che passi o no, emendato o tal quale; che, come chiede la gran parte delle associazioni antirazziste, laiche e cattoliche, gli sia comunque impedito in parlamento di passare, esso è in ogni caso frutto e specchio di un clima assai preoccupante. Il nuovo "patto mafioso fra privilegiati", come lo chiama Enzo Mazzi, ha bisogno di nuove "classi pericolose" da usare come capro espiatorio. E a questo serve, per esempio, prevedere fino a quindici anni di carcere per "chi aiuta i clandestini": a fare terra bruciata intorno a tutti gli stranieri, a costituirli simbolicamente come indifesi e indifendibili, ad additarli come facile bersaglio.

Che la posta in gioco sia la qualità civile della nostra convivenza e le ragioni della democrazia non sembra essere molto chiaro alla sinistra. Le immigrazioni in Europa potevano essere per essa l'occasione per ripensare democrazia e cittadinanza nell'epoca del villaggio globale, della mondializzazione, dello svuotamento degli stati nazionali; per fondare una seria strategia dei diritti per tutti, non solo per gli immigrati. Così non è stato, e le incertezze d'oggi sono il frutto di un grave limite teorico: l'incomprensione che la questione immigrazione ha a che fare non già con quel "di più" che è l'etica della solidarietà, ma con le ragioni fondanti della democrazia e della cittadinanza.

* etnologa dell'Università di Bari

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