FRONTIERA La leggenda di una battaglia e di una bianca, solida fortezza

FLORIS LUCIANA

FRONTIERA La leggenda di una battaglia e di una bianca, solida fortezza

Fort Alamo, l'ultimo appello. Narrare la soglia estrema: il romanzo di Contardi

- LUCIANA FLORIS

S E IL PRIMO romanzo di Gabriele Contardi, Navi di carta, era un "romanzo d'acqua", dove tornava, forte e insistente, la presenza del mare, il suo secondo libro Lettere da Alamo può essere considerato un romanzo di terra. Ma è sempre narrazione che ruota intorno a un'esperienza estrema: là si alludeva al naufragio del Titanic, qui alla battaglia di Forte Alamo.

Il fatto leggendario da cui Contardi parte, è noto (c'è un famoso film diretto da John Ford che lo racconta): poche centinaia di volontari texani asserragliati in una fortezza ai confini del Messico, mentre fuori dalle mura cinquemila soldati nemici attendono l'alba per sferrare l'attacco decisivo. E' il 1836, e in gioco c'è l'indipendenza del Texas. Non arrivano rinforzi e si preannuncia un'impresa disperata. Il colonnello raduna nella piazza del forte i volontari e con la sciabola traccia nella sabbia una lunga linea. E' un "gesto simbolico" ("le parole, purtroppo, non posseggono tanta forza"). Chi supererà la linea, accetterà una battaglia persa in partenza, gli altri potranno andar via. La leggenda dice che la superarono tutti.

Attraverso una serie di lettere immaginarie, di alcuni protagonisti realmente esistiti come Davy Crockett, Jim Bowie, il colonnello Travis o altri inventati, viene ricostruito l'accaduto. Vien fuori così una storia di sconfinamento, dove in gioco è il superamento di una linea di frontiera. Questo l'evento-chiave raccontato da diverse voci, sfaldato in modo prospettico e frammentato nella scrittura epistolare. Ma il fatto leggendario, in fondo, per Contardi non è che "un pretesto". Ciò che gli interessa, è proprio narrare l'esperienza della soglia: quel momento di sospensione prima di uno scontro impossibile. Momento estremo in cui emergono ricordi e vengono inviati gli ultimi messaggi alle persone care.

La battaglia si rivelerà, come previsto, "il più dannato degli inferni". Non ci saranno superstiti. Così come non ci sarà seguito alle lettere, che non giungeranno mai a destinazione. Solo il trombettiere messicano, sopravvissuto alla battaglia, potrà scrivere una seconda lettera; anzi, sarà lui l'unico destinatario di tutte le altre lettere. Gliele porterà il caporale che le ha trovate qua e là nel forte. Il trombettiere le terrà accanto a sé: osserverà i nomi dei destinatari, tutti femminili, senza decidersi ad aprirle. Alla fine, se le porterà via il vento. Scrittura inutile, dunque, eppure la sola in grado di accompagnare fino al limite estremo.

Forse Contardi avrebbe potuto scavare di più nell'immaginario dei protagonisti, non limitarsi a considerazioni che suonano un po' banali, soprattutto in punto di morte. Ma al di là dei limiti della scrittura, la sua scelta sembra iscriversi in un tipo di narrativa praticabile in questo scorcio di millennio: una "narrativa del probabile" che può accogliere a giusto titolo anche le lettere immaginarie.

E del resto la fortezza, bianca e solida, con mura spesse diversi metri, e "barricate costruite a fatica" sembra metafora di una realtà di fine secolo: destinata ad essere espugnata, nonostante i tentativi di arroccarsi, e travolta da mutazioni sempre più veloci.

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