L'ultimo viaggio di Alex Langer

VALPIANA MAO

OPINIONI

L'ultimo viaggio di Alex Langer

MAO VALPIANA *

E RA SEMPRE PRONTO a partire, Alex Langer. Ce lo ricordiamo così, con qualche borsa in mano o con il suo mitico zaino da montagna, un po' fuori luogo tra le valigette "ventiquattr'ore" del parlamento europeo. Eppure, non si sa come, Alex riusciva a non essere mai in ritardo, il che ha dello straordinario se si pensa alla sua vita dispersa tra Bolzano, Strasburgo, Bruxelles, Firenze e le cento e cento città del suo incessante peregrinare tra iniziative, incontri, riunioni.

Alex riusciva a stare - eccome - nella politica, senza essere della politica. (...) Ciò che più colpiva chi entrava in contatto con Alexander non erano la sua intelligenza, la sua cultura, o le sue doti politiche, quanto l'attenzione che sapeva mettere nella qualità dei rapporti. Riusciva veramente ad essere "presente al presente", a dare tutto se stesso anche in un incontro poco più che fugace. Quell'aria un po' spaesata che lo accompagnava riusciva a mettere immediatamente a proprio agio chiunque gli si avvicinasse. Persino il suo linguaggio si modellava sull'interlocutore, per annullare ogni distanza e ogni possibile fraintendimento. Ma soprattutto, a differenza di altri leader, Alex sapeva ascoltare. (...)

Un nonviolento gandhiano

Era profondamente nonviolento nell'atteggiamento verso gli altri e verso il mondo; e lo era anche nella scelta politica. Un sincero amico della nonviolenza, pragmatico, non ideologico, seppur profondo conoscitore della teoria nonviolenta. (...) Nel panorama del pacifismo italiano ed europeo, Alex ha più di chiunque altro lavorato per la ricerca di quella nonviolenza efficace che sola può proporsi come sostituto credibile della violenza una volta che questa è ormai esplosa. Come confessava una volta durante la guerra del Golfo, non poteva accontentarsi di incontri più o meno rituali in cui ciascuno "metteva a verbale" la propria opposizione alla guerra.

Con Gandhi sapeva bene che tra l'ignavia e la violenza era preferibile quest'ultima. Con sofferenza applicò questo principio anche al suo infaticabile impegno per la ex Jugoslavia. Dopo aver tentato davvero di tutto (la carovana per la pace, il Verona forum, il centralino telefonico a Bruxelles, la manifestazione "Facciamo dei Balcani un mosaico di pace", missioni a Zagabria, Belgrado, Sarajevo, e chissà quant'altro) piuttosto che assistere impotente al martirio della Bosnia, arrivò a proporre - lui, nonviolento, al Congresso di Venezia del nostro movimento - un intervento "anche armato" di polizia internazionale per fermare il massacro. La nonviolenza non era per lui un principio assoluto ed astratto, ma un mezzo concreto per affrontare complesse questioni concrete. Nella scelta del fine - il bene di tutti - e del mezzo - la nonviolenza - Alex metteva sempre in gioco tutto se stesso; assumeva il peso del fine e del mezzo e le conseguenze della vittoria o della sconfitta. Allo stesso modo, piuttosto di accettare passivamente lo smarrimento, la solitudine, la disperazione, nella quale si sentiva precipitato, ha preferito scegliere la dolorosa strada della violenza. Con coraggio ha fatto violenza a se stesso: il coraggio del nonviolento quando è costretto, dai limiti umani, alla violenza.

Alex ha vissuto una vita intensa e altrettanto intensamente è morto. La sua scelta, così difficile, quasi impossibile da capire, merita un profondo rispetto. Nell'estremo gesto, nella precisione con la quale l'ha preparato, c'è qualcosa di religioso: la scelta del luogo, il libro di preghiere, la cena con gli amici qualche giorno prima, l'ordine lasciato nelle proprie cose... un atto meditato da giorni, da settimane, forse cresciuto negli anni. Ma non possiamo far finta di niente, limitarci a celebrare il ricordo di un leader, come se fosse morto in un incidente stradale. No, quella morte è stata voluta: è un segnale di pericolo, un allarme gridato, una disperata richiesta di aiuto. E' un segno della grande difficoltà del tempo che stiamo vivendo. Non sapremo mai cosa ha veramente spinto Alex sotto quell'albero; ed è bene che sia così, solo Dio può leggere interamente la nostra coscienza. Dobbiamo però farci delle domande. Perché una vita così piena di speranza, si è spenta nella morte volontaria? Com'è possibile che chi cerca riconciliazione, unità, gioia, pace per tutti, trovi per sé disperazione, impotenza, paura, solitudine, angoscia? Se è proprio del nonviolento dilatare la sfera della coscienza individuale sino ad abbracciare le questioni globali, Alex ha spinto all'estremo questa dote e questa sensibilità. Nessuno come lui sapeva guardare profondo nei problemi e lontano alla ricerca delle soluzioni, ma per sostenere a lungo questo sguardo anche il male del mondo gli è penetrato sino in fondo all'anima. (...)

* direttore di "Azione nonviolenta"

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