I L VOTO delle lavoratrici e dei lavoratori nel referendum sulle pensioni in molte categorie e realtà del Paese, ha visto prevalere il No. In questo hanno pesato più fattori: un giudizio negativo sull'intesa raggiunta, che pure è presente in molti e molte che hanno votato Sì, e un giudizio più complessivo su un'intera stagione di strategie sindacali nella quale la capacità di contrattazione per la tutela e il miglioramento delle condizioni e dei tempi di lavoro è stata fallimentare.
Dall'accordo del 31 luglio ad oggi abbiamo assistito a una caduta delle retribuzioni del lavoro dipendente non più tutelato dall'inflazione reale, a un aumento consistente della disoccupazione, a una forte riduzione dei diritti sanciti da uno stato sociale che, anche se da riformare, era il portato di importanti conquiste del mondo del lavoro e di cui il sistema pensionistico era un punto forte.
Inoltre, attraverso le ristrutturazioni e la riorganizzazione nei luoghi di lavoro si è realizzata una forte crescita di produttività senza che questa venisse redistribuita almeno in parte in riduzione d'orario, in salario, in miglioramento delle condizioni di lavoro; anzi, abbiamo assistito a una riduzione degli occupati, a un aumento dell'orario attraverso consistenti quote di straordinari, a una intensificazione dei carichi e dei ritmi di lavoro.
Tutto ciò richiede una ridefinizione radicale delle strategie sindacali che faccia della autonomia rivendicativa e della ricostruzione di un protagonismo dei delegati due pezzi essenziali di un rilancio del sindacalismo confederale e della costruzione di un sindacato unitario, autonomo, pluralista e democratico.
L'esperienza svolta con questo referendum, se pur rimanda alla necessità di definire regole e modalità più precise, è stata un grande fatto di democrazia e di partecipazione che deve diventare irreversibile nel rapporto tra sindacato e lavoratori/ci, anche se non esaustivo del processo democratico da costruire.
Ma la ricostruzione di una nuova strategia non può prescindere dal cosa fare qui e ora per rispondere a ciò che chiede oggi il voto. Fare una riforma si, ma diversa da quella definita dall'accordo e presentata dal governo. Non possiamo delegare alle sole forze politiche questo compito, né fare finta che con qualche lieve correzione si risolva il problema.
Penso che ci siano alcune questioni di fondo da porre: 1) la reintroduzione della pensione di anzianità a 35 anni con il 2; 2) la reintroduzione del sistema retributivo con l'aggancio della pensione ai salari, difendendone il rendimento; 3) la fissazione dell'età pensionabile a non oltre 60 anni; 4) l'agganciamento del contribuzioni delle imprese e dello stato all'andamento della ricchezza prodotta e agli utili d'impresa per rendere più certo il sistema pensionistico. Cambiamenti sostanziali, e da conquistare con una mobilitazione che prema sul parlamento.
Con questa lettera mi rivolgo ai tanti dirigenti sindacali che di queste esigenze hanno parlato con i loro interventi e alle migliaia di delegati e delegate di tutte le organizzazioni sindacali che ritengono che questa riforma vada cambiata. Promuoviamo insieme una grande manifestazione per chiedere al parlamento di approvare questi cambiamenti. Una manifestazione unitaria e plurale, nella quale certo non tutti e tutte saranno d'accordo su tutto, ma che dia una prospettiva di cambiamento che tanti lavoratori e lavoratrici chiedono con forza.
* segr. Camera del lavoro di Milano