Passo dopo passo la mutazione dell'Udi

VIVIANI LUCIANA

Passo dopo passo la mutazione dell'Udi

Il terzo polo di mediazione negli anni caldi del dibattito sulla legge 194. La rottura col Pci e il dialogo con il femminismo

LUCIANA VIVIANI -

I L PERCORSO teorico e politico dell'Udi per definire una sua posizione sull'aborto è stato lungo e contrastato. A questa posizione si è arrivate partendo dal principio della maternità valore sociale, principio che si muoveva unicamente sul terreno del sociale, rivendicando cioè strutture e servizi a sostegno della donna che voleva essere madre e lavoratrice.

Il 31 marzo '71 a Roma, fedele a questa linea, l'Udi aveva organizzato una grande manifestazione per sollecitare dal Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare che chiedeva allo Stato il finanziamento di un piano di 3.800 asili nido. Nel convegno "La Donna e la maternità" del '72 l'Udi poi, illustrava un suo primo progetto di legge sull'aborto fondato su due principi: strutture sanitarie pubbliche e gratuite per rendere operante prevenzione e legalizzazione dell'aborto, purché eseguito in strutture pubbliche, questo a garanzia del farsi carico da parte della società della salute fisica e psichica della donna.

Questa prima uscita pubblica si guadagnò una clamorosa contestazione da parte di un gruppo di radicali capitanati dallo stesso Pannella. In verità, il vero obiettivo di questo attacco era il Pci reo agli occhio dei radicali di essere succube su questo terreno delle forze clericali.

Comunque lo scontro più aperto sulla posizione dell'Udi ebbe come teatro il suo IX congresso, nel novembre del '73, a Roma. Quello che lì accadde si conquistò titoloni di prima pagina. Fece infatti scalpore la contestazione, di parte comunista, che fu affidata all'autorevole voce di Nilde Iotti, la quale rispondendo proprio a me che avevo illustrato i contenuti di un'auspicata regolamentazione sull'aborto per sconfiggere l'aborto clandestino, ci metteva in guardia dai pericoli di una legge che avrebbe potuto creare un profondo steccato di separazione con le cattoliche. Iotti ci invitava invece a consultarle prima di fare ulteriori passi su questo accidentatissimo terreno.

Ugualmente vivace e sottolineata dalla stampa fu l'altra contestazione, quella che venne dai gruppi femministi presenti numerosi in sala. Le femministe più vicine alle posizioni radicali rimproveravano all'Udi un eccessivo appiattimento sulle istituzioni e la negazione della diversità femminile come valore. Questo doppio assedio consigliò cautela alle dirigenti dell'Udi di allora, le quali, in seguito, misero la sordina su questo scottante terreno buttandosi di preferenza a rivendicare il nuovo diritto di famiglia e l'istituzione dei consultori. E questo perché il terreno della prevenzione appariva meno accidentato.

A buttare nuovi sassi nello stagno però irruppe l'iniziativa della rivista Amica che, nell'autunno del '74, pubblicò l'elenco di 93 donne socialmente significative, che si autodenunciavano per il reato di aborto. In quello stesso periodo si moltiplicarono i gruppi di self-help e i gruppi che accompagnavano le donne a Londra per abortire. L'Udi rimase fuori da queste iniziative, preoccupata com'era di tenere insieme tutti gli aspetti della maternità come valore sociale.

Per allentare la stretta delle accuse di subalternità l'Udi lanciò l'8 marzo '75 una consultazione nazionale tra le donne su maternità-sessualità-aborto. Con questa iniziativa l'associazione si portò per la prima volta su un terreno nuovo e accidentato: quello del "privato" e la bomba le scoppiò tra le mani. Alla consultazione risposero in 30 mila, di tutti i ceti sociali e quello che raccontarono di sé, di come vivevano i rapporti sessuali con gli uomini, di come offrivano i loro corpi alle pratiche abortive più rischiose e umilianti, di come l'aborto per tutte fosse l'unico mezzo di controllo delle nascite possibile... Mise a nudo una verità che trovò in Sesso amaro, il libro che raccolse le risposte delle donne, il suo atto di denuncia più folgorante.

Nella manifestazione a Roma dell'11 ottobre l'Udi, forte della verità gridata da tante donne, abbandonò ogni moderazione e si schierò contro le proposte di Pci, Psi e laici. E fu un No alla casistica discriminante per accedere all'aborto, alla commissione di medici e assistenti sociali presso gli ospedali. Mentre fu un Sì per creare le condizioni di una piena responsabilità della donna. Nacque così il principio dell'"autodeterminazione". L'Udi si collocò nettamente alla testa di un terzo polo distante sia dalle posizioni della sinistra che da quella radicali. Fu allora la posizione vincente.

Si aprì uno scontro drammatico nel Pci che, per la prima volta, grazie alle comuniste dentro e fuori l'Udi, conobbe il conflitto di sesso. Al contrario, con i gruppi femministi, pur rimanendo il dissenso, si cominciò a intrecciare un dialogo. Due grandi cortei ci videro insieme, il 3 aprile '75 e il 24 maggio '77. Tra queste due date corre la tormentata vicenda parlamentare della 194, approvata il 18 maggio '78. Non piacque a nessuna, neanche all'Udi, per i gravi limiti che conteneva dovuti alle pesanti mediazioni parlamentari. Cionondimeno l'Udi si impegnò per contrastare gli ostacoli alla sua attuazione.

Sento la necessità di dichiarare qual è oggi la mia posizione. La 194 rappresenta ancora il massimo della mediazione possibile a livello parlamentare se la si considera l'unica via praticabile. Ma io non la considero tale. Al contrario penso che la soluzione non debba essere affidata agli strumenti legislativi, bensì alla libera responsabilità delle donne. E dunque che ci si debba limitare alla depenalizzazione.

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