E' ACCADUTO spesso che uomini che avevano acquistato terre a credito, entrassero in Parlamento allo scopo di promuovere un'ingiusta protezione contro i loro creditori". Così a fine '700 James Madison, uno dei padri della costituzione americana, si pronunciò in un dibattito sull'introduzione di forme di sbarramento al suffragio passivo - è proprio necessario, ci si chiedeva, essere proprietari terrieri per essere eletti? - sul viziaccio di alcuni di comprar terre a credito per poi approfittare della propria posizione politica per farla franca. Non occorre essere maliziosi per far fare a quelle parole un balzo di due secoli e riportarle al semestre di governo di Silvio Berlusconi. Che nonostante un abbondante ricorso "alle ingiuste protezioni contro i creditori" - riapertura di canali bancari che sembravano arruginiti e collocamento in borsa di una quota consistente della Mondadori - non è riuscito a raddrizzare i conti della Fininvest. La quale adesso si presenta a qualsiasi tipo di appuntamento, referendum, vendita a uno straniero o riordino delle concessioni, con la stessa fragilità di prima.
Non cambia infatti la sostanza del problema: sono anni che le tivù del Biscione non producono utili, sono anni che l'azienda viene gestita con criteri discutibili, in una perenne confusione tra il patrimonio personale ed aziendale - una situazione che Confalonieri cerca di raddrizzare e chiarire con la distinzione tra l'azienda e il Berlusconi politico - e in un continuo ricorso a operazioni volte a correggere conti altrimenti ben peggiori. L'impianto complessivo della galassia-Berlusca si deduce leggendo negli anni le analisi di bilancio di R&S, il centro-studi di Mediobanca, la fonte più completa e affidabile delle alchimìe del Biscione.
La struttura è semplice. Immaginiamo che il pianeta aziendale di Berlusconi sia un albero. Il tronco è la Fininvest. I rami sulla sinistra sono aziende e situazioni come la Standa, le "vittime" del sistema interno svuotate delle proprie risorse a favore della Fininvest stessa. I rami di destra sono invece società come la Mondadori: in discreta salute, raccolgono risorse che in parte vanno a beneficio della Fininvest stessa, in parte direttamente a Silvio Berlusconi. Un po' come la divisione di ruoli tra i due fratelli: Paolo si accolla le grane giudiziarie, l'edilizia, la proprietà del Giornale; Silvio la gloria, la fama di imprenditore, la politica...
Cerchiamo di districarci nel complesso arcipelago berlusconiano partendo da un luogo apparentemente periferico: l'acquisto dei Supermercati brianzoli. Nei primi mesi del '93 la Standa acquista in due tranches dalla famiglia Franchini tutte le azioni della EsseBi, pagandole 299 miliardi, circa 200 in più del dato di bilancio. In cambio i Franchini comprano da Reteitalia, ovvero dal settore televisivo, circa il 14 delle azioni Standa, pagandole a valore di borsa, 142 miliardi. Alla fine Reteitalia ha segnato in bilancio una plusvalenza di 68,9 miliardi utili a far quadrare i conti, i Franchini hanno incassato 157 miliardi e guadagnato l'ingresso nel consiglio di amministrazione, le televisioni si sono fatte belle, mentre la Standa ci ha perso, sborsando quasi 300 miliardi non bilanciati dal consolidamento degli Essebi (non più di 100 miliardi). Tant'è che l'anno scorso ha dovuto vendere il vero gioiello, Euromercato.
Un altro percorso significativo è rappresentato dal collocamento in borsa della Mondadori, avvenuto durante il governo Berlusconi. Al prezzo di 15.000 lire - adesso non arrivano a 11.000 - sono state collocate 66 milioni di azioni, con un "incasso" di 990 miliardi. Attraverso una serie di passaggi di semplificazione societaria - con diversi movimenti della Sbe e della Sbhe - sono arrivati nelle tasche del Cavaliere e della sua famiglia 360 miliardi, e il resto è finito ad alleviare l'indebitamento Fininvest. Mentre l'effetto sull'indebitamento finanziario della Mondadori è stato di soli 66 miliardi.