Precariato avanzato

BARIGAZZI SILVIA

Precariato avanzato

Dall'hard discount all'azienda informatica Aumentano in Lombardia frontiere, figure e formule del lavoro precario
SILVIA BARIGAZZI -

T ERZIARIO avanzato, precariato avanzato. In Lombardia, regione ad alto tasso terziario, lavorano nei servizi circa mezzo milione di persone: dalle imprese di pulizie alle fabbriche di computer, dagli ipermercati agli alberghi. Di questo esercito, circa la metà è precaria, in tutte le diverse sfumature e modi in cui è inquadrata una flessibilità non sempre esplicita, che abbraccia ormai tutti i tipi di mansioni e qualifiche, anche le più specializzate. A questa stima si deve poi aggiungere quell'insondabile mare magnum che è il lavoro nero, "spurio" un fenomeno che non si può misurare se non a spanne, e che coinvolge nella regione diverse decine se non centinaia di migliaia di persone spesso nelle mansioni più basse, dal facchinaggio alle pulizie.

Il sabato dell'Esselunga

I fenomeni relativamente più recenti e in espansione riguardano le forme di precariato organizzato in due settori "nuovi" e in forte espansione. La grande distribuzione, in tutte le sue declinazioni, dal super all'ipermercato all'hard discount e le aziende di informatica.

I dipendenti della grande distribuzione in Italia sono 120.000: di questi un terzo, tra i 30 e i 40.000 sono in Lombardia. Ebbene, quasi la metà degli organici è costituito in questo settore da lavoratori part-time "per necessità". Dove "per necessità" fa la differenza. Non si tratta infatti del tempo parziale scelto e conquistato a misura di vita, ma del part-time imposto e con orari spesso difficili. Imposto perché da una decina d'anni un supermercato piuttosto che un grande magazzino non assumono che a "part-time" per il bisogno di flessibilità di orario. Il tempo parziale viene utilizzato in tutti i modi: dal part-time stagionale - contratti a tempo determinato per coprire i momenti "caldi" come Pasqua e Natale o per sostituire in estate il personale in vacanza - a quello verticale - per esempio solo tutti i sabati - a quello "classico" orizzontale, quattro ore al giorno per esempio. Il fenomeno riguarda per lo più giovani donne, con più di un problema se devono conciliare orari anomali con la famiglia. "Ci saranno altri problemi - ricorda Maurizio Zanetti, dell'ufficio del mercato del lavoro della camera del lavoro di Milano - se passa il referendum sulla liberalizzazione degli orari dei negozi. Su questo noi respingiamo false liberalizzazioni, optando invece per una regolamentazione "sincrona" che cooordini negozi, uffici e altre attività".

Autonomo per forza

Diverso invece il caso delle industrie informatiche, diecimila addetti quasi tutti in Lombardia. L'ultimo ritrovato della precarietà è quello proposto ad esempio dalla Digital - ma seguito da molte altre aziende di informatica e di elettronica - ai suoi (ex) dipendenti specializzati, a figure come i programmatori. Dovendo ristrutturare, l'azienda ha formulato una sorta di patto coatto con il lavoratore. La scelta era tra il perdere il posto e tanti saluti e uscire dalla società, magari incentivato, continuando a lavorare dall'esterno con un contratto di collaborazione. Si è perso così il posto fisso e i contributi - il "nuovo autonomo" lavora in ritenuta d'acconto pagando la tassa sulla salute - ma non del tutto il lavoro. Mario Agostinelli, segretario regionale della Cgil, non è entusiasta della formula: "E' un tentativo - commenta - di destrutturare il mercato del lavoro e un peggioramento. Si può inquadrare, come filosofia, nei discorsi di Cesare Romiti, quando continua a ricordare che "anche il lavoratore deve assumersi il rischio dell'impresa". Il problema è che il datore di lavoro è tutelato per legge, mentre il lavoratore è costretto ad assumersi un rischio restando però nell'ambito del lavoro dipendente. E' un rapporto di forza che peggiora a svantaggio di chi lavora".

Il precariato poi abbonda nei dintorni di altre imprese avanzate, come la televisione. Alla Fininvest per esempio si fa larghissimo uso di contratti a termine a "stagione" televisiva e di "collaborazione coordinata e continuativa", un formula nata per inquadrare figure come gli architetti laureati che non hanno ancora dato l'esame professionale ma che è usatissima invece a Milano come strumento improprio d flessibilità.

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