Prezzi alle stelle, salari al palo

BARIGAZZI SILVIA

Prezzi alle stelle, salari al palo

Aprile, l'inflazione schizza al 5,3. E i sindacati si svegliano: i contratti, ancorati all'inflazione programmata, non tutelano il potere d'acquisto
SILVIA BARIGAZZI - ROMA

T REVIRGOLAOTTO, quattrovirgolatre, quattrovirgolanove, cinquevirgolatre. Al ritmo di mezzo punto al mese, i prezzi continuano a crescere, superando in aprile il tetto del cinque per cento. Secondo l'ufficio statistico del comune di Bologna - che anticipa i dati su nove città campione - ad aprile il costo della vita è salito al 5,3 (sarebbe il 5,2, ma si impone un arrotondamento) rispetto allo stesso mese dell'anno scorso. Uno sbalzo dello 0,6 da marzo, quando già l'indice dei prezzi si era impennato, un salto che ci riporta indietro di tre anni, ai livelli inflattivi dell'agosto del '92. Bologna, con lo 0,4 la città relativamente più contenuta, Napoli, con l'1,1 la più esosa in questa crescita dovuta a diversi fattori, comunque inquadrati e influenzati nel quadro di debolezza della lira che costringe a pagar caro quel che si importa per produrre o consumare e l'energia.

Dagli affitti al parmigiano

Crescono gli affitti, rilevati trimestralmente, diventano più cari i vestiti, ritoccati per il cambio-stagione. Diventa più salato il conto della spesa per l'aumento di parmigiano, olio, carne, patate e banane. Infine si gonfia la voce dei "servizi alla persona". Che comprende il ritocco all'insù dei prezzi dei trasporti in quasi tutti i comuni considerati, ma anche una sfilza di rincari più o meno pasquali e turistici per alberghi, bar e ristoranti.

La forte crescita dei prezzi non si può dire sia una sorpresa, essendo stata ampiamente e precisamente prevista già nei giorni scorsi: i mercati dei cambi, infatti, avendo già scontato la notizia, ieri non hanno fatto una piega. Ed ha come parziale "scusa" il confronto con un anno fa, periodo particolarmente calmo per i prezzi. Pone però, per la sua ormai evidente continuità e costanza, dei problemi per quei quindici milioni di lavoratori dipendenti che - in base all'accordo sul costo del lavoro del luglio '93 del governo Ciampi - prendono salari adeguati all'inflazione programmata: il 2,5 quest'anno, il 2 l'anno prossimo. Questo vuol dire che se per esempio l'aumento del costo della vita si confermasse al 5,5 uno stipendiato perderebbe in media il 3 del suo potere d'acquisto. Come reagiscono i sindacati di fronte all'annullamento di fatto dell'accordo Ciampi-Trentin?

Recuperiamo nei contratti

La Cgil chiede due cose previste nell'accordo di luglio. Primo: che "si recuperi il divario tra inflazione programmata e reale" nel prossimo biennio di tornate contrattuali, che partirà a marzo prossimo con il settore chimico. Secondo: che il governo istituisca un osservatorio dei prezzi con annesso sistema sanzionatorio per chi non sta al gioco dell'inflazione programmata. La Cisl invece pensa che si debba tenere conto dei 4-5 punti di potere d'acquisto "di cui i lavoratori sono creditori" nei contratti di lavoro e nella partita delle pensioni. La Uil infine si limita a chiedere l'osservatorio.

Il presidente della Confindustria Luigi Abete invece vincola la calma inflazionistica all'immediata approvazione della riforma della previdenza e attacca i commercianti, con cui si rimpalla in questi giorni l'accusa di sciacallagio da prezzi. "Spero che questa spinta inflattiva possa essere contenuta, se si formalizzerà presto la riforma delle pensioni e se ci saranno comportamenti coerenti da parte di tutti, anche dei settori a valle della produzione".

Rimbalzo di accuse

Non solo: ai rappresentanti della Confcommercio - che continuano a ripetere che l'inflazione salirà al sei per cento - il presidente degli industriali ha risposto di "non credere alle false profezie di chi confonde le previsioni con le aspettative". In una nota La Confesercenti respinge le accuse: "Le imprese commerciali hanno finora tenuto un atteggiamento responsabile, soprattutto perché non anticipano gli aumenti dei prezzi alla produzione e all'ingrosso". I commercianti si descrivono stretti fra il calo dei consumi e l'aumento della concorrenza e "mantengono stabili i margini di profitto: finora hanno solo parzialmente trasferito gli aumenti già registrati alla produzione (olio, vino, caffé, acqua, carne) sui prezzi al dettaglio. Per altri alimentari (formaggi, carni, salumi) si prevedono aumenti alla produzione che potrebbero solo parzialmente" scaricarsi sui prezzi.

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