I punti della discordia sono fondamentalmente due: quanto agevolare i fondi pensione? Prevedere fondi aperti - con la possibilità di abbandonare il proprio fondo aziendale, contrattato, per un altro - o chiusi - con la possibilità di entrare e uscire dal fondo aziendale quando si vuole, ma non di passare a un altro?
Sono questioni capitali, dietro alle quali si agitano interessi fortissimi, - quelli delle compagnie di assicurazione - e da cui dipendono le sorti della previdenza pubblica. Sui fondi aperti, riproposti ieri dal governo, i sindacati sono nettamente contrari, mentre la Confindustria è ufficialmente, anche se non completamente, favorevole.
Gli sgravi sui fondi pensione devono invece devono essere previsti in misura sufficiente per il loro decollo, ma non eccessiva: altrimenti quei soldi - chiedono i sindacati - tantovale destinarli alla previdenza pubblica.
Partiamo dagli elementi sicuri: il fondo previdenziale è e resta ad adesione volontaria ed individuale del lavoratore. Sparisce definitivamente la tassa d'ingresso del 15 e resta al 14 il tetto di retribuzione lorda per finanziare i fondi. Probabile anche l'obbligatorietà per le imprese - anche se graduale e parziale - di destinazione del tfr per i neo-assunti. Solo che il governo opta per una via legislativa e i sindacati per una contrattuatuale. Mentre la Confindustria è contraria.
L'argomento di rottura è stato quello quello degli sgravi, sul quale alla fine l'opposizione di sindacati e industriali ha portato a un nulla di fatto: "ci ripenseremo" ha detto alla fine Dini. Il sottosegretario al tesoro Giarda si è infatti presentato con una drastica riduzione: dal 3,7 massimo della retribuzione lorda, all'1,5 per cento per imprese e lavoratori. Un ribasso che secondo le parti sociali rende impossibile la partenza dei fondi integrativi.