SILVIA BARIGAZZO - MILANO
SETTE E VENTI di sera: a mercati chiusi, dopo un'altra giornata campale - con la lira quasi a quota millecento contro il marco e soprattutto con l'inflazione salita a febbraio dal 3,8 per cento al 4,3-4,4 per cento - Bankitalia ha deciso. Aumentano i due tassi di rifinanziamento per le banche: il tasso ufficiale di sconto, il fondamentale, sale dal 7,50 all'8,25, quello sulle anticipazioni a scadenza fissa, aumenta ancor di più dall'8,50 al 9,75.
La notizia è arrivata in serata quasi a sorpresa tra gli operatori, che però hanno cominciato ad aspettare un probabile rincaro del costo del denaro alla fine della settimana scorsa, all'inizio del nuovo ottovolante valutario. A convincere di più la banca centrale, però è stato l'imprevisto peggioramento dell'inflazione in coincidenza con la manovra che, basandosi in gran parte su imposte indirette, porterà a inevitabili e periodici picchi di rialzi dei prezzi. Il governatore Fazio, qualche tempo fa, mentre tutto appariva ancora tranquillo, aveva avvertito: "Attenti al rialzo dei prezzi, attenti all'inflazione da importazione", dovuta all'aumento delle materie prime. Cassandra inascoltata, adesso ha fatto quello che era intuibile. Il comunicato di via Nazionale parla chiaro: la decisione è stata presa per "frenare la risalita dell'inflazione e il peggioramento delle aspettative inflazionistiche" e si iscrive "nell'orientamento che la politica fiscale del governo ha assunto di urgente, significativa, riduzione del disavanzo pubblico".
La seconda parte delle motivazioni di Bankitalia è mirata invece a rassicurare sugli effetti negativi sul debito pubblico di un consistente rialzo del costo del denaro -con un aumento degli interessi sui titoli di stato - e sulle imprese, che possono essere scoraggiate a investire dal caro-denaro. Di solito si calcola, per esempio, che un aumento di un punto del tasso di sconto "equivalga" a 15.000 miliardi di maggiori oneri sul debito. Ebbene, via Nazionale ci tiene invece a sottolineare che la sua decisione, con la dimostrazione di rigore che dà, "avvalora" il tentativo di inversione di tendenza "dell'aumento dell'onere sul servizio del debito pubblico e contrastando l'inflazione contribuisce a mantenere l'economia italiana sul sentiero di sviluppo stabile".
Non una parola, non un cenno sui cambi, sulla debolezza della lira che ha portato anche ieri in tarda mattinata Bankitalia a intervenire sui mercati a comprar lire mentre tutti vendevano, mentre il marco saliva a quota 1.097. Già lo scorso dodici agosto, per tamponare un'altra crisi del cambio, Bankitalia alzò i tassi dal 7 al 7,5 senza però ottenere grandi risultati. Gli operatori interpretarono infatti la stretta creditizia più come un gesto di debolezza che di forza. E anche ieri sera, dopo la notizia dell'aumento del tasso di sconto, la lira ha ricominciato a perdere a New York, riportandosi a quota 1.097, dalle circa 1.094 di metà pomeriggio.
La giornata di fuoco dei cambi di ieri è stata accompaganata da un calo dell'1,5 di Piazzaffari e da consistenti vendite dei contratti a termine sui titoli di stato. Tutto è esploso alle nove di mattina, all'apertura della piazza europea. La perdita immediata di uno 0,7 del dollaro sul marco (sceso fino a 1,45) e la diffusione dei dati sull'inflazione, uniti al rinvio a venerdì del varo della manovra, hanno colpito immmediatamente gli operatori sul vivo, portando la lira dalle 1.080 dell'apertura (1.083 lunedì) a milleottantratre, ottantasei, novantaquattro...Tutte le valute "deboli", dal franco alla peseta alla sterlina hanno perso molto. Ma, come ricorda un operatore, "noi siamo i più deboli tra i deboli". Così a mezzogiorno è intervenuta Bankitalia. Alle due e mezza il cambio con il marco è stato fotografato a 1.095, dopo aver fatto in tempo però a sfiorare quota 1.098. Nel pomeriggio un sostanziale assestamento è arrivato dagli Stati uniti, dalla notizia dell'accordo per i venti miliardi di dollari di aiuti al Messico, causa attuale dei guai dei dollaro. Poi, la notizia dell'aumento del tasso di sconto...