N ACCORDO fra governo e sindacati sul primo punto della disccussione sulle pensioni, quello della separazione fra previdenza e assistenza? Un documento che lo definisce? Ma figuriamoci! Luigi Abete, nella conferenza stampa che ieri sera i leader di Confindustria hanno tenuto a palazzo Chigi subito dopo l'incontro con Dini, è breve ma chiaro: "Non esiste alcun documento - semmai possono esistere alcuni appunti fra le parti - per la semplice ragione che questo accordo sulle pensioni non si fa a tappe, con questo e con quello, ma si deciderà con un confronto politico triangolare, già la settimana prossima, una volta esaurite le parzialità tecniche".
Confindustria parla chiaro: magari non le vanno tanto bene alcuni particolari di quella stesura di punti di separazione fra spese previdenziali e contributi a carico dello Stato e della fiscalità generale, ma ai padroni interessa capire come andrà quella che per loro è la "ciccia". Cosa si deciderà sul sistema delle pensioni e cosa sul regime transitorio. Non ci stanno ad accordarsi punto per punto, vogliono poter esercitare il loro potere e quindi pretendono il "tavolo triangolare": dove il governo è impegnato anche a imbrigliare qualunque "velleità di azione, di dissenso unilaterale" che i sindacati possano mettere in campo (leggi scioperi o manifestazioni che ricordino la cattiva abitudine dell'autunno).
Luigi Abete su questo è stato abbastanza scoperto, come lo è stato quando ha ricordato che alla Confindustria interessa che si "liberi la previdenza complementare" da ogni vincolo; e che si sciolga il salario aziendale da ogni obbligo di contributi da parte dei padroni - "e questo è stato sottoscritto anche dai sindacati, nell'accordo del 23 luglio", ricorda malignamente il dirigente di Confindustria.
In sostanza, da un lato Confindustria cerca di avere un ruolo in commedia e di salvare la faccia pretendendo una decisione "globale" di tutte le parti in causa, e convogliando in questo "triangolo" le precedenti invocazioni di una forzatura unilaterale da parte del governo con decreti o quant'altro. Segno che il quadro politico, nel quale i padroni si son mossi ultimamente sempre in modo ambiguo, li consiglia alla cautela. Per altro verso, e insieme, pensano così di poter costringere il sindacato a "mollare", visto che è il sindacato quello che ha più da perdere oggi in una trattativa sulle pensioni: infatti è l'unico soggetto che secondo tutti (tranne i lavoratori e i pensionati) "deve restituire qualcosa".
Quanto alla trattativa condotta fra sindacati e ministero del lavoro per la separazione della previdenza dall'assistenza (ovvvero la divisione delle voci dell'Inps coperte dai contributi previdenziali - attualmente al 27 - da quelle, come cassintegrazione e assegni familiari, a carico invece della fiscalità generale), i contenuti c'erano già nella piattaforma sindacale, ma anche nell'accordo del primo dicembre. E lo stesso ministro Treu li aveva sottolineati ieri pomeriggio a Milano nel corso di un convegno sulla previdenza complementare, durante il quale si era detto fiducioso in una rapida approvazione del "pacchetto pensioni".
Treu ha rassicurato la platea milanese, per gran parte composta da operatori dei fondi privati: l'obiettivo del governo è di concludere "entro fine mese, contemporaneamente" sulla previdenza pubblica e su quella complementare, per poi "presentare il disegno di legge di riforma, magari con qualche delega". Si intende insomma procedere parallelamente allo snellimento delle pensioni pubbliche a alla definizione di quelle complementari, "con l'effettivo decollo dei fondi pensione". Il che significa che il ministero del lavoro e delle finanze stanno cercando il modo di indorare la pillola: di rendere più appetibili i fondi pensione con misure che invoglino i futuri pensionati, e tranquillizzino per altro verso le imprese che si troveranno private di quel fondo liquidazioni dei dipendenti che utilizzano come forma di autofinanziamento.