BRUNO PERINI
Seicento giorni di fuoco per salvare il secondo gruppo
industriale italiano, portato dalla famiglia Ferruzzi e da Raul
Gardini sull'orlo del collasso: trentunmila miliardi di debiti
per la Ferfin, un incredibile giro di fondi neri esteri a
disposizione per comprarsi la politica. Alla presidenza "con le
più ampie deleghe" arriva l'ex presidente della Confindustria e
industriale siderurgico Luigi Lucchini. Un uomo di industria e di
rapporti per garantire le banche creditrici -tutt'ora azioniste
del gruppo -per rassicurare i soci esteri e gestire il nuovo
assetto del gruppo. Lucchini è stato indicato dallo stesso Rossi,
cooptato la notte tra domenica e lunedì dal consiglio e nominato
alla presidenza ieri mattina. Un passaggio che indica un
ridimensionamento del ruolo di Enrico Bondi.
Guido Rossi aveva già fatto le valigie lo scorso anno. Ma
l'inchiesta su Mediobanca aperta dalla procura di Ravenna a
seguito delle denunce di Carlo Sama e soci lo avevano costretto a
rimanenere. Enrico Cuccia aveva ordinato: "Ognuno ai suoi posti
di combattimento fino a quando non passa la bufera". Adesso la
decisione è irrevocabile. Rossi ha già fatto tutto quello che gli
veniva richiesto dal suo mandato: ha evitato il crack del gruppo
arrivando all'accordo con il settantacinque per cento dei
creditori. Un'opera titanica, considerata l'ostilità di alcune
banche straniere, guidate dalla Citibank, abituate a pensare che
i gruppi che non ce la fanno non possono che fallire. In alcuni
casi ha vestito i panni dell'"investigatore" sguinzagliando gli
uomini della società di revisione Deloitte a caccia di fondi neri
- come quei 544 miliardi persi da Gardini alla borsa di Chicago e
"imboscati" in una società estera - in altri ha aiutato
direttamente Antonio Di Pietro a svolgere le indagini sul passato
Montedison.
E adesso? Le ipotesi sul futuro di Rossi e della Montedison sono
state ieri il gioco di società preferito della comunità
finanziaria. Perplessa Piazzaffari per l'abbandono del
professore. C'è chi si chiede i motivi per cui un imprenditore
siderurgico sia stato chiamato alla guida del maggior gruppo
chimico privato italiano. I più maliziosi aggiungono che una
ragione sarebbe da ricercare nei buoni rapporti che legano l'ex
presidente degli industriali con la Fiat. Il vecchio sogno di
Cuccia si starebbe realizzando: riconsegnare la Montedison agli
Agnelli attraverso la Gemina.
Tutte fantasie? Secondo Guido Rossi certamente sì. La Fiat forse,
sostengono dalle parti di foro Buonaparte, potrebbe in un
prossimo futuro partecipare al capitale del gruppo Ferruzzi, ma
non certo accollarsi nè direttamente nè indirettamente il carico
di un settore delicato, lunatico e rischioso come la chimica. La
recente politica della casa di Torino, concentrata
sull'automobile, non lascia prevedere grandi ritorni su settori a
questa estranei. I tentativi di costruire una conglomerata
portati avanti negli anni ottanta non hanno pagato.
Anche sul futuro del professore si sono sbizzarrite le càbale di
finanza e corridoi. Andrà con Romano Prodi? Tornerà alla
politica, lui che è già stato senatore della sinistra
indipendente? Si prepara per alti incarichi in Mediobanca? Niente
di tutto ciò. Le cose sembrano essere più semplici. Guido Rossi,
dopo l'avventura in Montedison, tornerà nel suo ufficio di via
Sant'Andrea numero due, riprenderà a fare l'avvocato di diritto
societario e ad insegnare. Intanto si dedica alla scrittura di un
libro sul capitalismo.
MILANO
I
L PROFESSORE se ne va. Chiamato a foro Buonaparte la mattina del
ventotto giugno '93 mentre i carabinieri minaccivano di arrestare
in flagranza di reato tutto il vecchio consiglio di
amministrazione, Guido Rossi decreta con le sue dimissioni la
fine dell'emergenza finanziaria e giudiziaria. Se lo ricordano
tutti, quando alle otto del mattino in gran segreto il professore
incontrò il procuratore Borrelli per evitare il peggio,
garantendo che dal quel momento si sarebbero tirati fuori tutti
gli scheletri dagli armadi.